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Sentenza n. 2403/17/2024 della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio – immediata applicazione della sentenza della Corte di Giustizia Europea nella causa C-341/22

La Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio con la sentenza n. 2403/17/2024, applicando immediatamente le conclusioni della Corte di Giustizia Europea nella causa C-341/22 del 7 marzo scorso, ha riconosciuto il diritto al rimborso IVA di una società in perdita sistematica, disapplicando l’art. 30 della Legge 724/1994.

La norma sulle società di comodo, portata al vaglio dei giudici UE, è stata da questi bocciata:

  1. per incompatibilità con le nozioni di “soggettività passiva IVA” e “attività economica” di cui all’art. 9 par. 1 della Direttiva 2006/112/CE;
  2. per incompatibilità con il diritto alla detrazione di cui all’art. 167 della Direttiva citata e il principio di neutralità che sovrintende detta imposta.

In merito al primo punto, l’incompatibilità è dipesa dal fatto che la norma nazionale sulle società di comodo fonda la propria portata antielusiva prevedendo una mera presunzione secondo cui, qualora l’importo delle operazioni effettuate da una società nel corso di un periodo d’imposta non raggiunga una determinata soglia (calcolata secondo criteri di natura patrimoniale), tale società non può dirsi operativa; di conseguenza, viene alla stessa limitato o, in certi casi, escluso il diritto alla detrazione dell’IVA. Di tutt’altro avviso è l’art. 9 par. 1 della Direttiva 2006/112/CE, in base al quale la soggettività passiva è collegata all’esercizio di un’attività economica in sé considerata, indipendentemente dai suoi scopi e dai risultati conseguiti. A tal proposito, già in passato i giudici unionali avevano sancito la legittimità della detrazione dell’IVA (si veda, tra tutte, la sentenza della Corte di Giustizia del 28 ottobre 2018, causa C-249/17 (Ryanair)) assolta sui costi sostenuti per l’acquisto di beni e servizi propedeutici e strumentali all’avvio (o alla prosecuzione) dell’attività d’impresa, quando risultano del tutto assenti i ricavi e quand’anche l’attività dovesse cessare senza che questi siano stati conseguiti.

In merito al secondo punto, i giudici evidenziano come l’art. 168 della Direttiva 2006/112/CE statuisca un principio di detrazione dell’IVA assolta a valle basato sull’afferenza, ovvero sulla destinazione, dei beni acquistati ad essere utilizzati per operazioni imponibili a monte, senza prevedere alcuna limitazione nei confronti dei soggetti passivi che, nel corso di un determinato periodo d’imposta, effettuano operazioni rilevanti ai fini IVA in misura inferiore ad una prefissata soglia. Di converso, il diritto alla detrazione dell’IVA può essere negato al soggetto passivo qualora sia dimostrato, alla luce di elementi oggettivi, che esso è invocato fraudolentemente o abusivamente. Al riguardo, le misure che gli Stati membri possono adottare, ai sensi dell’art. 273 della Direttiva 2006/112/CE, non devono comunque essere tali da ledere sistematicamente il diritto alla detrazione dell’IVA e, dunque, il principio di neutralità di detta imposta, come di fatto avviene in applicazione dell’art. 30 della Legge 724/94 che, statuendo l’indetraibilità dell’IVA sulla base di una mera presunzione, non si basa di certo sugli stessi criteri oggettivi previsti dalla norma comunitaria.

Sulla base di quanto precede, si può concludere che la sentenza della Corte di giustizia tributaria di secondo grado del Lazio, interpretando perfettamente il carattere generale delle pronunce della Corte di Giustizia EU e il valore cogente che esse hanno anche ex tunc, quale garante dell’interpretazione autentica del diritto unionale, ha prontamente disapplicato una norma interna, quella di cui all’art. 30 della Legge 724/1994, da tempo criticata in dottrina per la sua incapacità di intercettare le società che realmente svolgono un’attività di mero godimento degli asset aziendali e non un’effettiva attività economica.

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